Giorgio Falco, il peso del corpo
febbraio 20, 2023
20 Febbraio 2023
«[…] si sente allontanare dal corpo, condotto ai margini della lentezza dove, un attimo prima di morire, ci si guarda morire».
Il corpo, il discorso del corpo. La presenza del corpo nel tempo, nel luogo, nello spazio. Come siamo, come siamo dentro il nostro corpo, come ci percepiamo, come ci percepiscono gli altri. La propriocezione, ovvero la capacità di riconoscere (o almeno di tentare di riconoscere) la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli senza il supporto della vista, secondo gli studi di Charles Scott Sherrington. Altrettanto bella la definizione che ne dà la Treccani: «Insieme delle funzioni deputate al controllo della posizione e del movimento del corpo, sulla base delle informazioni rilevate da recettori periferici denominati propriocettori. Tali informazioni sono elaborate all’interno di riflessi spinali volti al mantenimento della corretta postura e a contrastare la forza di gravità»; cosa succede se del nostro corpo percepiamo (propriocepiamo) il peso, la mole, l’ingombro, non solo senza il supporto della vista, ma anche con l’inconscio, anche mentre dormiamo?
Il corpo, che ci piaccia o meno, comunica in prima battuta chi siamo, e la comunicazione è falsa, e la comunicazione può essere vera. E questa comunicazione riguarda soprattutto noi stessi, e ha a che fare, con l’esterno, massa grassa, muscoli, rughe, occhi, bocca e tiene a sé anche una grossa quota sentimentale, spartita con il sangue che riguarda entrambe le cose. Si tratta di un discorso complesso e molto attuale, discorso che regola il nostro rapporto con gli altri, lo sovrappone. Spesso gli altri ci vedono per quello che siamo, molto spesso per quello che non siamo, sovente ci vedono per come ci vediamo o percepiamo noi, sempre ci vedono per quello che vogliono vedere.
Molto spesso, soprattutto negli ultimi decenni (o comunque negli ultimi decenni è più evidente) il corpo è diventato soprattutto punto d’osservazione: è con il corpo che osserviamo e interagiamo con gli altri, ed è con il nostro corpo che gli altri ci percepiscono, nel bene e, principalmente, nel male. Per via del nostro corpo appariamo belli o brutti, forti o deboli, grassi o magri. Il nostro corpo può diventare una prigione, è l’evidenza di una nostra disabilità, di un disagio. Il corpo è il medium sociale, attraverso il corpo possiamo controllare gli altri, gli altri possono controllarci, in qualche caso dominarci.
«L’esistenza interiore si forma, all’inizio, in uno stato di disinteresse nel quale tutto è unito, e i giorni sono senza albe e tramonti, e questo è il tempo».
Queste considerazioni nascono dopo la lettura del nuovo e bellissimo romanzo di Giorgio Falco, Il paradosso della sopravvivenza (Einaudi, 2023), un libro delicato e duro, opprimente e liberatorio, cattivo e romantico. Un romanzo che nasce dalla capacità di Giorgio Falco (evidente in ogni libro che ha scritto) di osservare la realtà e le cose per quello che sono, per come appaiono, per come avrebbero potuto essere. Di andare a fondo alle cose.
«Coraggio, qualcosa accadrà, dietro i vetri delle case dei vivi».
Il protagonista di questa storia si chiama Federico e nel paesino di montagna è per tutti «il ciccione». Federico è obeso, pesa più di centocinquanta chili, peso superiore che non conosce perché la bilancia del medico che lo segue da piccolo non va oltre quella soglia. Sarà proprio quel medico a spiegargli il paradosso della sopravvivenza. Secondo il quale «gli obesi, con scompensi cardiaci o dopo un evento cardiovascolare, hanno un tasso di mortalità inferiore rispetto ai pazienti magri. […] Secondo questa teoria ciò che ci uccide ci protegge, almeno in una prima fase, per eternizzare non certo la vita, quanto la sopravvivenza, come se sopravvivenza e vita fossero scisse».
Federico è figlio unico di una famiglia normale. Il padre funzionario pubblico, la mamma casalinga. Famiglia con cui Federico ha sempre avuto un rapporto affettuoso ma distante, di rispetto ma solitario. I tre pare stiano sempre da soli, la madre con i suoi pensieri, Fede con il cibo e i desideri, il padre nella routine e nel silenzio. Non c’è conflitto apparente ma nemmeno complicità. Fede ha un rapporto affettivo più evidente con la zia che vive nella casa di fronte, la zia che a un certo punto diventerà strumento di salvezza, o almeno per tentare di raggiungerla. Il corpo di Fede è ingombrante, esagerato; il ragazzo è deriso a scuola, compatito in famiglia, come la cosa che sta lì. I bambini hanno i giochi, Fede ha gli spuntini e le merendine. Ma anche Fede desidera, anche Fede spera, anche Fede sogna. Negli anni dell’adolescenza, Fede incontrerà Giulia, magrissima, ai suoi occhi bellissima, sulla soglia dell’anoressia. Fede mangia, Giulia quasi per niente. Fede desidera Giulia, Giulia desidera dominare Fede.
La ragazza comincerà a usare il suo corpo in rapporto alla fame e al desiderio che ha il ragazzo per lei, e a usare il corpo e lo sguardo di Fede. Un gioco di potere, un vero e proprio dominio. Da questa situazione che potremmo definire umiliante – solo che Fede non la vede così, si tratta in fondo di uno scambio – il ragazzo troverà la forza, lo slancio per staccarsi dal luogo, da Giulia, dalla vita così come è stata. Proverà, cioè, a tentare la vita, ad agguantarla altrove. E l’altrove sarà Milano, un luogo diverso, grande, in cui la disabilità fa il conto con l’indifferenza. Falco, tra le altre cose, racconta come l’indifferenza pesi quanto il dominio che esercita Giulia in un dato periodo su Fede. L’indifferenza è un altro tipo di controllo.
La difficoltà di avere relazioni e gestirle, di trovare un lavoro decente, di stare nel tempo e nello spazio, tutto esercita una presa, una sorta di potere sulla fragilità di Fede. Fede mangia perché non ha le cose che gli altri possono avere, come il sesso, come l’amore. Fede non ha le cose che gli altri possono avere perché mangia a dismisura. Fede è la vittima ed è il carnefice, è l’assassino e il martire, ed è per questo che è sempre calmo, tranquillo, perché tutto sta dentro, i centocinquanta chili coprono tutto, perfino il dolore, perfino la malinconia.
«Cosa sarebbe l’anima senza il corpo? Il tuo corpo enorme non è osceno, ma al contrario, nella sua estrema evidenza, è morale».
Ogni giorno occupiamo uno spazio nel luogo e davanti agli occhi degli altri, ma non lo sappiamo, non ci facciamo caso. Falco è di questo che scrive, e poi scrive del potere che lo sguardo di chi osserva, di chi a che fare con noi, condizioni irrimediabilmente le nostre scelte. Il corpo è un linguaggio, ed è con la lingua che Giorgio Falco da sempre spinge all’attenzione, alla riflessione, non dimenticando mai di essere un romanziere e perciò che sta raccontando una storia, e nella storia empatia e sgomento e amore e dolore e indifferenza e cura vanno insieme.
Il paradosso della sopravvivenza è certamente la storia di un corpo immenso in un mondo che ingombra, che tende a decidere per noi, a scegliergli la vita, a collocarci. Il mondo non abbraccia Fede e non abbraccia chi ha un problema. Il modo ti vede, non gli piaci, ti scavalca passa oltre ed è doloroso. Nelle pagine leggiamo di quel dolore e leggiamo di un ragazzo che fa quello che può e stanco si accomoda in una poltrona troppo piccola, sempre troppo piccola per lui. Il paradosso della sopravvivenza è un romanzo bellissimo, che mostra il nostro tempo con la profondità di un saggio, ma con la forza e la bellezza con cui solo la narrativa può esplorare il reale.

“Non è roba da poco aver centrato con precisione millimetrica tanti tratti del nostro tempo in quella che alla fin fine è solo una piccolissima storia. Se questo avviene, e se in quella storia finisce per riconoscersi anche chi ha o si illude di avere una vita dedita a tutt’altra traiettoria, ciò è dovuto in primo luogo alla perizia di scrittura di Falco, alla sapienza con cui inquadra le scene, dispone e monta le sequenze, conferisce alle frasi un tono atono ma irrefutabile” (Daniele Giglioli)




RAGAZZO A CASO – GIORGIO FALCO
febbraio 17, 2023


GIORGIO FALCO scrive per THE ITALIAN REVIEW.
[Un’auto che si guida da sola non riesce a frenare in tempo e deve sterzare investendo uno tra sei diversi pedoni”.
1. Un bimbo su un passeggino
2. One boy (nella traduzione italiana scrivono ragazzino).
3. One girl (nella traduzione italiana scrivono ragazzina).
4. Una donna incinta
5. Due medici uomini
6. Due medici donne
Chi deve morire tra queste persone?] GF

Qui –> https://bit.ly/TheItalianReview_Ragazzo#giorgiofalco#TheItalianReview
#saggi #cultura #tecnologia
Intervista a Giorgio Falco e Sabrina Ragucci a cura di Maria Rizzarelli
febbraio 16, 2023

DOMINANZA DI COSE di Sabrina Ragucci e Giorgio Falco
[Scrive Maria Rizzarelli che un modo di fare i conti con la figura o meglio con la ‘raffigurazione’ di #Pasolini, in occasione del centenario della nascita, sta nella ricerca di una via alternativa all’agiografia, come alla banalizzante parafrasi delle sue analisi e delle sue affermazioni.
È proprio una delle idee su cui si basa il percorso espositivo intitolato “Pasolini: ipotesi di raffigurazione”, allestito a La Nuvola, a Roma, per Europhoto Project da Marco Delogu insieme ad Andrea Cortellessa e Silvia De Laude, restituendo alcuni snodi della ‘topografia sentimentale’ dell’autore, attraverso le rifrazioni degli sguardi e gli attraversamenti dei luoghi compiuti da alcuni artisti contemporanei. Fra questi, Maria Rizzarelli ha intervistato Giorgio Falco e Sabrina Ragucci. Il contributo è disponibile online sul sito:
http://www.arabeschi.it/dominanza-di-cose-pasolini…/…
#Arabeschi20#ArabeschiInterviste#Pasolini100#mariarizzarelli#giorgiofalco#sabrinaragucci
“Il paradosso della sopravvivenza” di Giorgio Falco è il romanzo di formazione di un uomo gravato dal suo rapporto con il cibo, in un mondo che ha perso ogni autenticità, in cui l’alimentazione e la sessualità ruotano attorno a un vuoto e l’unica speranza è riuscire a resistere nella solitudine, perdurando nel deserto nonostante tutto…
Mentre il mondo si fa sempre più immateriale, falso, prodotto in scatola e sezionato dagli analisti di mercato, i corpi tentano di sopravvivere riempiendo il vuoto con un desiderio frustrato, consapevoli di stare diventando un resto ingombrante, uno scarto inessenziale e doloroso. Il paradosso della sopravvivenza di Giorgio Falco, edito da Einaudi, è un romanzo di formazione che più che raccontare la crescita parla della permanenza disperata e priva di contatto con il mondo di Federico Furlan, ovvero Fede il ciccione, un ragazzo che fin dall’infanzia deve fare i conti con l’obesità e con un corpo che lo condiziona nel rapporto con gli altri e in tutti gli ambiti della vita.
Fede è la presenza di un assenza costante. Assenza di affetti e di legami, solo apparentemente riempita dal cibo, che diventa nello stesso tempo un nemico e un alleato per rimarcare la sua esistenza.
L’educazione sentimentale di Fede a Pratonovo, paesino in un’immaginaria vallata italiana, è un legame di umiliazione con Giulia, ragazza ricca, figlia di produttori di spumante e mezza anoressica, forse preda anche lei del medesimo vuoto ma salvata dal denaro, da un potere che assicura una stabilità ontologica. Giulia usa Fede, ne fa uno schiavo: dovrà mangiare nudo di fronte a lei nuda, assistere a rapporti sessuali sempre ingozzandosi e costretto in una gabbia di castità. Fede si sottomette più che per amore per la necessità di trovare nel masochismo un ruolo, un’effettività.

La cifra della vita di Fede, e del mondo intorno a lui, sarà questa: l’inerzia, il desiderio di mantenere un’esistenza che si fa atona, estranea quando non ostile. E che si prosciuga mentre il corpo di Fede resta sovrabbondante, estremo, malvisto dagli altri. È il paradosso della sopravvivenza, la bizzarra teoria che il medico del paese espone a Fede e che vorrebbe che «ciò che ci uccide ci protegge, almeno in una prima fase, per eternizzare non certo la vita, quanto la sopravvivenza, come se sopravvivenza e vita fossero scisse».
E Fede vedrà coi suoi occhi tanto la morte quanto l’invalidità. Prima nel disastro della funivia del suo paese, e dopo a Milano, quando alla soglia dei trent’anni cercherà di fuggire nella grande città per sottrarsi alla tirannia di Giulia e prendere finalmente in mano la sua vita, salvo poi ritrovarsi prigioniero della medesima ripetizione, dello stesso nulla.
Lì conoscerà colleghi di lavoro mutilati o paralizzati, scampati alla morte e rimasti nella vita come rimasuglio più o meno malinconico. «La condizione di ciccione è invalidante quasi come un incidente, ma Fede non ha avuto alcun trauma improvviso, soltanto l’accumulo dei giorni, la vita. Non basta questo?».
Nel romanzo tutte le esistenze monche, residuali si muovono in uno sfondo di pura inautenticità. Prima nella vallata di Pratonovo, inesistente ma così realistica nei suoi tratti kitsch, che mette in scena il carnevale turistico e grottesche caccie alle streghe negli anni passati per cercare di ostentare un rapporto vivo alla storia del luogo, ed è già colonizzata dagli apparati della messa a valore del territorio, che siano la funivia o un consumo di massa in via di sviluppo. E dopo c’è Milano, la terra promessa di Fede adulto, un terribile deserto moderno dove avanzano il mercato e comincia a muovere i primi passi la digitalizzazione, tra supermercati in cui ogni merce ha un codice che è come una formula di evocazione e uffici dove bisogna imparare a elaborare in trenta secondi la stringa di tag di un video porno.
Anche quello che è forse l’unico amore di Fede nel romanzo, con una donna altrettanto grassa e che i colleghi chiamano crudelmente Barbie cassonetto, è in fondo un incontro mancato, una storia triste che termina per la goffaggine di Fede e sembra voler significare come nel mondo attuale non ci sia spazio per un sentimento vero. Resterà solo il ricordo dell’impronta dei loro corpi caldi sulle piastrelle di un appartamento, la prima volta di Fede subito ricoperta dagli errori che li separeranno. Così come sono sfuggenti i legami con la famiglia, con una madre che non vuole vedere il disagio del figlio e un padre distante, poco empatico e che invecchiando diventa picchio Jerry, un profilo di acquirente di prodotti alimentari in sconto ben conosciuto da chi studia i dati di vendita.
Alimentazione e sessualità si reiterano per tutto il romanzo parlando proprio del loro essere vuoto o scarto, ripetizione nauseante che toglie senso e lascia uomini e donne come agglomerati che ormai non sperano più se non di riprodurre la propria presenza a metà nel mondo. Fede sopravvive, è solo sfiorato da tragedie che però proprio come vuole il paradosso lo lasciano intatto nella sua desolazione senza sgomento.
Non c’è redenzione per lui e per nessuno degli altri personaggi, perché tutti abitano un mondo in cui cibo e sesso hanno perduto ogni tensione e ognuno è consegnato a un atomizzazione irrimediabile in uno scenario di cartapesta. Il racconto del disastro della funivia, che lascia un solo superstite, è introdotto da queste parole: «Potrei essere io. Potresti essere tu. Questo io turistico, io plurale, ma solo. La solitudine del sopravvissuto».
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Eppure, anche se infelice, Fede si sente invincibile. Il suo medico gli ha illustrato «il paradosso della sopravvivenza», bizzarra teoria clinica secondo cui le persone obese avrebbero un tasso di mortalità inferiore rispetto a quelle normopeso, come se il grasso facesse da scudo alle minacce del mondo.